Racconti di viaggio tra i paesi italiani

Esplorare gli ottomila e passa campanili che puntellano il nostro Belpaese


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LA VAL SARMENTO – PRIMA PARTE

LA VAL SARMENTO: Terranova di Pollino, San Costantino Albanese, San Paolo Albanese.

Non è la prima volta che visito il complesso montuoso del Pollino. Durante le mie frequenti scorribande calabresi ho avuto occasione di apprezzare la maestosità di queste imponenti montagne con i paesi adagiati alla base, maternalmente protetti dalle impervie cime su cui si sviluppano fianchi sostanzialmente spogli e brulli.
Per questo motivo, quando penso al Monte Pollino, oltre alla presenza dei bellissimi e isolati pini loricati, l’immagine è sempre associata a una montagna nuda, isolata e quasi impenetrabile. Una specie di dea che incute timore e allo stesso tempo rispetto.
Immaginate il mio stupore quando ho deciso per la prima volta di esplorare il versante lucano e settentrionale del Monte Pollino. Non pensavo di poter solcare il fianco del complesso montuoso e soprattutto non immaginavo di entrare in un ambiente completamente ricoperto di boschi e tanto verde.
È stata una sorpresa che ha lasciato pian piano spazio a un piacevole apprezzamento per queste alte montagne che superano i duemila metri e che rientrano meritatamente nel Parco Nazionale del Pollino, uno dei più estesi d’Italia. I due versanti, quello settentrionale appartenente alla Basilicata e quello meridionale appartenente alla Calabria, sono così tanto diversi tra loro come se facessero parte di territori differenti eppure si sviluppano lungo i fianchi della stessa montagna. Ho già conosciuto palmo per palmo i paesi calabresi e ora tocca a quelli lucani.

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La Val Sarmento – Prima Parte

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Terranova di Pollino – Visuale del centro abitato


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LA CAPITALE DELL’IRPINIA – SECONDA PARTE

LA CAPITALE DELL’IRPINIA: Ariano Irpino.

Fatichiam! Nè sia chi dica
Che de’ ricchi siam gli schiavi;
Più di noi con la fatica
Furon grandi i padri e gli avi.
Ozio reo, e nulla più,
Ci conduce a servitù.
Dio ci fece quel che siamo;
Fatichiamo fatichiamo.

P. P. Parzanese, Canti del povero, Gli operai, vv. 33-40.

Passeggio lungo Via Loreto, una strada asfaltata in discesa, verso le pendici del Tricolle. Sono praticamente in campagna, in mezzo a vegetazione. Il paesaggio è nascosto dalla presenza di alberi che si sviluppano lungo il ciglio della strada, ma è sufficiente raggiungere la Chiesa della Madonna di Loreto per ammirare, ancora una volta, il bellissimo panorama dell’Irpinia. Purtroppo c’è ancora un po’ di foschia che non mi permette di ammirare le lontane montagne, mi devo accontentare solo della Baronia di Vico in primo piano, mentre alle spalle c’è il vasto Altopiano del Formicoso.

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La Capitale dell’Irpinia – Seconda Parte

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Ariano Irpino – Castello Normanno – Visuale del prospetto posteriore


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LA CAPITALE DELL’IRPINIA – PRIMA PARTE

LA CAPITALE DELL’IRPINIA: Ariano Irpino.

Premessa
Come di consueto, prima di scrivere un racconto scelgo un tema di base che sia attinente ai luoghi che ho visitato. Ora è arrivato il turno di una città campana, la prima di una lunga serie, e non è stato semplice pensare a un argomento legato a un territorio complesso e affascinante come l’Irpinia.
Come immagino per la maggior parte di voi, l’Irpinia è immediatamente associata alle tragedie dei frequenti terremoti che hanno martoriato questo remoto territorio, nel cuore dell’Italia Meridionale, in particolare quello della sera del 23 novembre 1980: una fredda domenica di fine autunno, con novanta secondi che hanno cambiato per sempre il volto dei paesi e delle comunità.
Mi è sembrato un tema troppo prevedibile, troppo ovvio e (perdonatemi il termine) troppo banale. Non mi è parso giusto parlare di una bella e vivace città d’arte, collegandola al terremoto e ricordandolo ogni volta che passo davanti a qualche chiesa e a qualche palazzo.
Ho dovuto studiare un bel po’ e alla fine ho scelto di dare voce alle poesie di Pietro Paolo Parzanese: un religioso vissuto nella prima metà dell’Ottocento, nativo di questi luoghi, purtroppo sconosciuto nel mondo della letteratura, ma che a mio parere ha saputo dare lustro alla semplicità e all’umiltà dei suoi abitanti, con gli inevitabili problemi che ne derivano. Le sue poesie accompagneranno il mio viaggio, senza essere commentate, nude e crude così come penso il poeta avrebbe voluto. Chissà, magari qualcuno attraverso il mio racconto scoprirà la bellezza e il valore di quei semplici versi, collocando meritatamente il poeta nell’Olimpo della Letteratura Italiana.

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La Capitale dell’Irpinia – Prima Parte

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Ariano Irpino – Cattedrale di Santa Maria Assunta


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IL SALUZZESE – QUARTA PARTE

IL SALUZZESE: Lagnasco.

Lunedì, 30 luglio 1548
Pare che la voce si sia sparsa subito e velocemente. So per certo che il genovese Principe di Melfi abbia scritto una lettera a non so chi per la morte del nostro marchese. Noi speravamo che la notizia si diffondesse più lentamente, per far assorbire in modo meno doloroso la scomparsa di Gabriele agli abitanti del Marchesato.
Non è un problema grave, ormai è morto e sicuramente ci sarà un funerale adeguato al suo rango. Credo, anzi sono sicuro che Enrico II, il re di Francia, lo permetterà. La moglie sta per arrivare a momenti, ma io ho ancora una volta un nuovo incarico: devo tornare a Saluzzo per organizzare la congregazione generale dei comuni del marchesato. In realtà non la organizzo io, ma devo consegnare la classica e segreta lettera sigillata in ceralacca al vicario generale per gli adempimenti previsti.
Carico di speranza, sello il cavallo che mi è stato messo a disposizione e corro a tutta velocità verso sud. Avremo di nuovo un futuro glorioso.

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Il Saluzzese – Quarta Parte

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Lagnasco – Castello dei Tapparelli d’Azeglio – Prospetto principale del Castello di Levante


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IL SALUZZESE – TERZA PARTE

IL SALUZZESE: Manta.

Venerdì, 1 giugno 1548
Non sono riuscito a incontrare il vecchio prete di Revello, confessore privilegiato del nostro moribondo marchese. Ora sono di nuovo a Pinerolo, ma non posso più espormi, la mia presenza è bruciata e il marchese non proferisce parola in mia presenza.
Il mio ruolo di messaggero si è evoluto sempre di più. Se prima trasportavo semplicemente le notizie da una persona all’altra con quel caratteristico odore di ceralacca rossa, ora ho messo in piedi una rete sempre più complessa con l’unico obiettivo: far fuori Gabriele e promuovere la definitiva estinzione del nostro marchesato.
Le mie spie sorvegliano il marchese discretamente, giorno dopo giorno, e proprio oggi è di nuovo con sua moglie. Noi congiurati siamo ancora alla ricerca di un suo punto debole, per farlo almeno morire di morte naturale. Sarà difficile, vista la sua diffidenza che aumenta ogni giorno che passa.
È sera e i miei sgherri sono di ritorno. Mi proferiscono le solite notizie, già sentite e che ormai conosco a memoria, ma una curiosa informazione di uno di essi suscita il mio interesse: la moglie gli ha portato dei meloni.
Forse so cosa fare.

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Il Saluzzese – Terza Parte

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Manta – Castello della Manta – Visuale parziale del Castello


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IL SALUZZESE – SECONDA PARTE

IL SALUZZESE: Saluzzo.

Domenica, 4 marzo 1548
Devo aspettare qui a Pinerolo per un po’. Mi è stato comunicato che mi dovrebbe arrivare a giorni una importante lettera da parte del Re di Francia per stabilire le sorti del nostro povero disgraziato marchesato. È una lettera che devo consegnare di persona a Gabriele, imprigionato nelle segrete di questa fortezza, nonostante la famiglia stia utilizzando tutte le proprie forze per liberarlo. Poverino, il marchese è debole e indifeso, non sarebbe capace di sopportare ulteriormente le terribili prove che le fredde celle gli provocano.
Ma io già so che lui è destinato a morire. Ovviamente non so quando, ma sarà sicuramente entro quest’anno. Lui ormai è un morto vivente e il re francese, che è a tutti gli effetti il nostro padrone, sta avviando tutte le procedure per far estinguere il nostro moribondo marchesato. Già molti castelli di montagna sono sotto il controllo oltralpe e scommetto tutto ciò che ho che la prossima vittima sarà il Castello di Revello, residenza preferita del marchese. Proprio quel castello dove noi siamo andati ad arrestarlo. Sembra che io poi debba riferire le informazioni anche a un certo signor di Pescheray, sicuramente uno dei tanti personaggi occulti degli intrighi nascosti che stanno colpendo il marchesato. La fine è vicina.

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Il Saluzzese – Seconda Parte

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Saluzzo – Palazzo Saluzzo di Monterosso (sn) e Palazzo dei Marchesi del Carretto (dx)


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IL SALUZZESE – PRIMA PARTE

IL SALUZZESE: Saluzzo.

Mercoledì 18 gennaio 1548
C’è tanta neve sui cigli della strada. Sporca, nera e maleodorante. Da un mese ci troviamo in uno degli inverni più freddi che io abbia mai vissuto; non ho mai visto nevicare così tanto in pianura, neve alta almeno due o tre piedi.
I cavalli non riescono a proseguire e neanche i reclutamenti coatti degli uomini più forti del nostro marchesato sono sufficienti per spalare tutta questa neve. Ci troviamo in un territorio bloccato e isolato. E i francesi ci stanno accerchiando.
Io devo proseguire, miglio per miglio, devo consegnare al marchese un messaggio importante, fondamentale per il futuro del nostro territorio insidiato dai nostri nemici. Sono certo che non ce la faremo, ma non mi posso arrendere ora.
Continuo a camminare sui pochi sentieri praticabili, ai piedi delle colline. Un tempo erano verdeggianti e rigogliose, ora c’è solo desolazione e abbandono. La guerra e la neve sono un connubio davvero insidioso.
Io devo adempiere al mio dovere e non posso fare altro che andare avanti. Camminare passo dopo passo. Eccola quell’inconfondibile torre, in alto, in cima a una collina. Se i miei occhi non sbagliano, manca poco più un miglio prima di raggiungere Saluzzo.

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Il Saluzzese – Prima Parte

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Saluzzo – Palazzi signorili prospettanti su Piazza Risorgimento con Corso Italia in fondo


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LA CAPITALE PELIGNA – TERZA PARTE

LA CAPITALE PELIGNA: Sulmona.

Lusus habet finem: cycnis descendere tempus,
duxerunt collo qui iuga nostra suo.
Ut quondam iuvenes, ita nunc, mea turba, puellae
inscribant spoliis NASO MAGISTER ERAT.

Traduzione: Ecco finito il gioco. È tempo ch’io scenda dai cigni che con il loro collo han tirato il mio cocchio. Come hanno fatto i ragazzi, adesso le ragazze, seguaci mie con eguale diritto, possono scrivere sui loro ricchi trofei: «Ovidio fu il nostro maestro».

Il giorno dopo nei dintorni.
Sono molto contento. Ieri ho trascorso una serata molto piacevole con la mia amica, il suo futuro marito e tanti altri commensali. Sono rimasto commosso per la coppia tanto innamorata e ricca di empatia e sintonia. Chissà, se in futuro io possa provare un sentimento simile per qualcuno, cedendo la mia cosiddetta libertà che insisto a custodire gelosamente per una convivenza ricca di incognite.
Ammetto che sono ancora un po’ per le mie. La lettura di Ovidio mi ha spronato un po’ di più, ma non abbastanza. Forse il matrimonio mi farà cambiare idea. Sarà tra qualche giorno.
Nel frattempo io proseguo la visita. Seppur la città abbia tantissimo da offrire, con quel grandioso contenitore artistico e culturale, il suo territorio comunale non è da meno, anche se l’estensione è relativamente modesta sino a raggiungere la cima del vicino Monte Morrone. Chiaramente quella sarà la mia meta.

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La Capitale Peligna – Terza Parte

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Sulmona – Visuale della Badia Morronese


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LA CAPITALE PELIGNA – SECONDA PARTE

LA CAPITALE PELIGNA: Sulmona.

Ut levis absumptis paulatim viribus ignis
ipse latet, summo canet in igne cinis,
sed tamen extinctas admoto sulphure flammas
invenit et lumen, quod fuit ante, redit:
sic, ubi pigra situ securaque pectora torpent,
acribus est stimulis eliciendus amor.

Traduzione: Come un fuoco che perde le forze s’affievolisce, si fa stento e sopra vi biancheggia la cenere, ma se vi getti zolfo ravviva le estinte fiamme e torna allo splendore primitivo, così quando i cuori sonnecchiano impigriti da troppa sicurezza l’amore va aizzato con forza.

Ovviamente, questo consiglio non l’avrei mai trovato nel Fontamara o in qualche altro scritto di Ignazio Silone. Per fortuna, nonostante i millenni di distanza, è proprio Ovidio ad aiutarmi, ora riesco a capire perché non sono capace di amare. Sono una persona debole, che non sa reagire quando i sentimenti si affievoliscono.
Ho ben compreso, devo lottare, devo essere forte. Solo in questo modo, prendendo esempio dalla mia amica tanto innamorata del suo futuro marito, posso provare questo sentimento così complicato e così volubile, magari iniziando ad amare me stesso. Solo chi si ama può amare gli altri e quindi è capace di lottare per i propri sentimenti. Sì, giusto, devo farlo.

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La Capitale Peligna – Seconda Parte

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Sulmona – Piazza Garibaldi


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LA CAPITALE PELIGNA – PRIMA PARTE

LA CAPITALE PELIGNA: Sulmona.

Si quis in hoc artem populo non novit amandi,
hoc legat et lecto carmine doctus amet.
Arte citae veloque rates remoque moventur,
arte leves currus: arte regendus Amor.

Traduzione: Se c’è qualcuno tra i tanti lettori che non conosce l’arte di amare mi legga, poi potrà amare con stile. Per arte le navi veloci corrono a vela e coi remi, per arte i cocchi leggeri, per arte va amministrato l’Amore.

Mi piace cominciare il nuovo racconto con i primi versi dell’Ars Amandi di Ovidio. Sono vecchi di duemila anni, ma sembrano scritti l’altro ieri, così freschi di stampa e così attuali . In fondo, l’amore è sempre uguale a sé stesso, posso dire che è il sentimento più democratico che esista.
Mi sembra di percepire un sentore di perplessità da parte dei miei lettori, abituati alla lettura precisa e un po’ noiosa dei miei racconti di viaggio, che sfiora la pedanteria. E devo dire che hanno ragione, sto affrontando un tema di cui io non sono per nulla esperto. Non so cosa sia l’amore, anzi io ho difficoltà a dargli una giusta interpretazione.
Chissà, magari con la lettura di Ovidio, io alla fine di questo viaggio avrò imparato ad amare. Non è un caso che lui sia nato in una città adagiata nel cuore dell’Appennino, in un territorio anticamente abitato dalla popolazione italica dei Peligni: Sulmona.

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La Capitale Peligna – Prima Parte

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Sulmona – Palazzo Tabassi – Cortile interno